Calabria, terra da spremere e da buttare

E' la classica storia di una regione considerata come luogo di sfruttamento e profitto, fino a quando conviene; di una popolazione prima blandita, poi abbandonata, infine buggerata. E' la storia del Marlane (Gruppo Marzotto), un vero e proprio disastro, sociale ed ambientale, come e` emerso nel processo di Paola conclusosi con l'assoluzione di tutti gli imputati. Nell'introdurre la requisitoria, il 20 settembre scorso, il pubblico ministero Gambassi ha provato a tracciare un paradigma della vicenda giudiziaria: "Racchiude una sintesi della vita di molte persone, di uomini e donne che hanno prestato la loro opera di lavoro nella fabbrica tessile Marlane di Praia a Mare". Un corteo di testimonianze di quella "non rara coesistenza tra il bene ed il male, tra, nello specifico, un'occupazione che dà e ha dato sostegno a quelle famiglie, ma che allo stesso tempo ha nascosto rischi e ha generato anche dolore". Lo stabilimento secondo le accuse avrebbe compromesso anche l'ambiente circostante, non solo la salute dei suoi dipendenti. Secondo il pm Maria Camodeca, il disastro "deve essere considerato ancora in corso di consumazione, in quanto la contaminazione dei siti industriali e zone ad esso limitrofe ha assunto caratteristiche di potenza espansiva del danno e di attitudine a mettere in pericolo l'ambiente, tale da poter essere ipotizzata come disastro tuttora in corso per la permanenza sul suolo delle sostanze pericolose riversate in modo massiccio." Nel corso del processo il Gruppo Marzotto ha proposto una transazione economica ai familiari delle vittime della fabbrica di Praia a Mare. Dai 20 ai 30 mila euro. Le parti civili, sfibrate da vent'anni di attesa e spaventate dal rischio prescrizione, hanno nella maggioranza dei casi accettato un compenso, elargito solo per mettere a tacere la vicenda. Una beffa.

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