Chiarezza...

Dopo le Giornate Pantiane, è meglio fare un po' di chiarezza. Domenico Piro, meglio noto sotto lo pseudonimo di Duonnu Pantu, nacque ad Aprigliano da una nobile famiglia il 14 ottobre del 1660. L’abitazione del Piro, sita nell'antico Casale di Pera, era denominata “casa dei Notari” per la professione esercitata da molti della famiglia. Niente sappiamo della sua vita, tranne qualche notizia da accettare con riserva. Altra notizia certa è l’anno della sua morte avvenuta nel 1696, come risulta dalla epigrafe dettata dal fratello Padre Isidoro Piro, filosofo e sacerdote dell’ordine dei Minimi, lapide custodita nella chiesa di Santo Stefano. Il Piro - Pantu ebbe ingegno vivacissimo ed è considerato l'archetipo della licenziosità dialettale calabrese.Dietro il poeta dialettale è un mondo paesano che si libera con la facezia (il poeta appartiene a una brigata parentale di uomini colti che motteggiavano con estro - cosiddetti Gapulieri) e con il tema fallico dal peso dell'autorità, dei condizionamenti culturali. Caratteristica del Piro (che fu incarcerato dal vescovo Gennaro Sanfelice) è il coraggio di porsi originalmente questi problemi culturali e di affrontarli con un punto di vista assolutamente originale.Muore alla fine del XVII secolo come testimonia il suo epitaffio posto nella chiesa di S. Stefano di Aprigliano e dettato dal fratello Isidoro, padre dell’ordine dei Minimi. Le opere al ascritte Piro sono: Cazzeide, Cunneide, Mumuriale, Pruvista, i Sonetti (Segnure ‘Ncischiu, Jisti a de Pinnu e Quarant'anni de cunnu), Canzuna e la Briga de li studenti. Aneddoti sul Piro:Si narra che se un prete a cavallo di un gallo fosse riuscito a percorrere, per intero, la scala interna della casa di “Duonnu Pantu” , avrebbe trovato un tesoro ivi nascosto [Che per inciso, visto che l'aneddoto compare abusivamente senza citazione su diversi siti web ed alcune pubblicazioni - VERGOGNATEVI - è ben precisare che il racconto è stato raccolto dal sottoscritto nel corso di una intervista a personalità del posto]. “Duonnu Pantu”, al secolo don Domenico Piro, è universalmente conosciuto – e apprezzato - per la sua opera in vernacolo. Su di lui si raccontano diversi gustosi aneddoti. Un primo riguarda la sua passione per il vino. Il Vescovo venuto a conoscenza di questa sua debolezza gli impose un bicchiere a pasto. Il “Pantu”, per tutta risposta, tagliò il collo ad una damigiana e ne fece il suo bicchiere. Si racconta, inoltre, che per ovviare ad una ordinanza del Vescovo sull'età delle “perpetue” ( che doveva essere superiore ai 50 anni) si faceva accudire da due formose “quatrarelle” di 25 anni ciascheduna. Si racconta, infine, che mentre era in punto di morte, due amici andarono a fargli visita. Costoro si intrattennero dal “Pantu”, parlando sottovoce del più e del meno. Quando la discussione cadde su donne di facili costumi, “Duonnu Pantu”, riacquistando lucidità, pronunciò le sue ultime parole famose: “mmiscatimicce puru a mie!…”

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