Marlane, la fabbrica dei veleni.

E' storia dei giorni nostri. Storia contemporanea, stooria di veleni, povera gente e malaffare. Storia di sfruttamento del Sud. la storia della Marlane. Partiamo da di Praia a Mare. Qui, nel 1957, il biellese industriale, conte Stefano Rivetti inaugura il “Lanificio R2” e la “Lini e Lane”; quest’ultima specializzata nel confezionare tovagliato e ricami. La Lini e Lane, però, chiude nei primi anni ’70; mentre il Lanificio R2 sarà rilevato dall’IMI (Istituto Immobiliare Italiano) e dall’ENI nel 1969, cambiando nome in “Lanerossi”. Nel 1987 la fabbrica è acquistata dal gruppo tessile Marzotto con sede principale a Valdagno, in provincia di Vicenza, e sarà conosciuta come “Marlane- Marzotto S.p.A.”. I Marzotto sono una famiglia di conti, proprietari di un vero e proprio impero nella produzione delle stoffe: tre industrie presenti solo nel Veneto a Valdagno, Schio, Piovene Rocchette, nel vicentino; a Manerbio, nel Bresciano ed a Salerno. Tutte queste imprese, insieme al polo prajese, dismetteranno la propria attività agli inizi del 2000 per essere trasferite tra la Polonia e la Repubblica Ceca. A Praia a Mare, dicevamo, si producevano stoffe. I soli reparti di tintoria e filatura impiegavano più di 300 persone provenienti anche dai paesi limitrofi come Tortora, Ajeta, San Nicola Arcella e Scalea. Le ottimali condizioni lavorative descritte dagli operai e dalle operaie nelle interviste di emittenti televisivi e giornali, abili ad arricchire di maggiori dettagli felici quelle relazioni, ben presto si scopriranno solo “narrazioni di facciata” e frutto dell’omertà a cui si era costretti cosicché ogni mese si continuasse a ricevere uno stipendio. Nel 1968, mentre a Valdagno scoppia la rivolta degli operai della fabbrica Marzotto, sfociata in una ribellione cittadina portata avanti da 3000 persone; nella lontana Calabria, gli operai e le operaie della Marlane si ammalano e muoiono di uno strano malanno. “E’ morto di un male. Non stava bene”. Uno, due, tre, dieci. A metà degli anni ’80 sono più di cinquanta le morti sospette avvenute per esalazioni tossiche. I dipendenti della Marlane hanno pagato con il silenzio e la vita il ricatto del padrone: se volevi continuare a lavorare dovevi nascondere la testa sotto la sabbia. Nel reparto di tintoria erano presenti delle vasche, prive di copertura, in cui i dipendenti, senza mascherine e guanti, immergevano a mani nude le stoffe nelle sostanze coloranti risultate essere tossiche utilizzate risultano essere tossiche. A peggiorare la situazione si aggiunse anche la rimozione dei separatori con il reparto di filatura. L’impianto di areazione non funzionava e gli operai filtravano l’aria attraverso i propri polmoni. “Stamattina andiamo in Val Padana!”, scherzava qualcuno. Forse per sdrammatizzare, forse per farsi coraggio e stringere i denti ad andare avanti. Nel 1973 due operai addetti al carbonizzo, macchinario adoperato nella bruciatura dei peluche presenti sui capi scuri, muoiono per un cancro all'apparato digerente. L’aria puzzolente rendeva l’atmosfera irrespirabile e a fine turno, per ripulire le vie respiratorie, si beveva mezzo litro di latte. Il reparto di filatura aveva i telai in amianto: i freni sfregavano sulle macchine generando la polvere aspirata dagli addetti ai lavori. Solamente nel 1996 una delegazione sindacale si recò a Roma per chiedere maggiore sicurezza sul posto di lavoro, anche perché di medici nemmeno l’ombra. Uno, due, tre, dieci, trenta, cinquanta, cento gli operai e le operaie morte di carcinoma e leucemia. Tanti i racconti drammatici: dalle firme impresse da moribondi ricoverati in ospedali con l’aiuto dei responsabili di fabbrica alle testimonianze delle mogli che sentivano tossire perennemente i propri mariti. Qualche giornalista si interessa al caso e intervista Luigi Pacchiano, ex operaio che preferì licenziarsi dalla fabbrica perchè malato e privo di qualunque aiuto da parte dei sindacati e dei responsabili Marlane. Insieme ad Alberto Cunto, un altro dipendente, svelerà i retroscena della vita in fabbrica. I giornalisti raccolgono anche un’altra importante esposizione, o meglio una “testimonianza chiave” per l’intero processo che di lì a poco prenderà il via: il resoconto di Francesco De Palma. L’operaio, specializzato nel reparto tintoria dal 1964 al 1990 ed oggi deceduto pure lui a causa di una neoplasia, nell’intervista ricorda i fine settimana in cui, su comando dei responsabili della sede prajese, con un altro collega scavava delle grosse buche. A ridosso della spiaggia, distante una manciata di metri dal capannone, fusti pieni di liquame e di rifiuti altamente tossici sono stati seppelliti nel sottosuolo e coperti da terra e omertà. De Palma continua la sua narrazione tossica e descrive il cattivo funzionamento dell’impianto depurativo dell’azienda: sebbene saturo al 70%, si proseguiva con lo scarico delle acque reflue all’interno dei pozzi. Liquidi provenienti dalla tintura, dal finissaggio e dal lavaggio venivano schiariti dal depuratore e poi rigettate nel mare mentre i fanghi di lavorazione, una volta diluiti, erano riversati sul nudo terreno. Deposizioni particolarmente allarmanti quelle rilasciate dagli ex operai e dai loro congiunti, così tanto preoccupanti da accendere un campanello di allarme tra ambientalisti, comitati e cittadinanza, oltre che della Procura di Paola. Arriviamo al 1996. Si avviano le prime indagini. Intanto il gruppo Marzotto, allo scopo di moltiplicare i propri profitti, decide di spostarsi nell’Europa dell’Est. Dal 2000 al 2004 i macchinari vengono smontati e trasferiti fuori dall’Italia, creando danni anche ad altre piccole imprese dell'indotto. A nulla serviranno gli scioperi della fame, le minacce di suicidio urlate dall’alto dei silos sui quali sei dipendenti restarono arrampicati una settimana, giorno e notte. A nessun risultato porterà il blocco della Statale 18. La Marlane tramonta nel 2004. Nel frattempo, però, dalla Procura di Paola partono nuove indagini, guidate dal procuratore Bruno Giordano. Nel 2006 e nel 2007 sono avviate due importanti investigazioni sui rifiuti tossici, molte volte nominati dai vari teste. Un pool, tra tecnici e investigatori, assieme al NOE effettua scavi e rilievi sul sito ritenuto inquinato. Gli esperti rinvengono alcuni fusti e dei contenitori in cui sono racchiusi dei liquami. Coloranti azoici,estremamente pericolosi per la salute umana e l’ecosistema; Cromo, Nichel, Metalli Pesanti, Arsenico e Idrosolubili, questi ultimi velocemente assimilabili da piante e tessuti, sono le sostanze rinvenute nel perimetro della Marlane sul quale, però, si scava a 3- 4 metri di profondità rendendo impossibile la conoscenza dello stato di salute delle falde acquifere. I risultati di questa prima parte di indagine, consultando gli atti dell’ARPACAL e dell’ASP, portano ad un grosso buco nella documentazione relativa allo smaltimento dei fanghi industriali avvenuta nel periodo 1993- 1995 e 2000- 2004. Nel primo caso si sommano circa 750 tonnellate eliminate in Campania fino al 1993, anno in cui l’amministrazione regionale campana pone un freno ai rifiuti provenienti da fuori regione. La Marlane, allora, trasporta i fanghi presso l’impianto di bio- conversione in contrada Costapisola, nel comune di Santa Domenica Talao. Nel 1998, però, si costituisce una commissione d’inchiesta parlamentare sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, e in una parte del resoconto “Missione Calabria” si legge come Costapisola non abbia alcun impianto ma solo un terreno sul quale gli scarti vengono depositati. Nella seconda circostanza, invece, si è celebrato un processo per illecito smaltimento dei rifiuti concluso con un patteggiamento sui reati contestati. A distanza di oltre dieci anni dalle prime inchieste, ad aprile 2011 si apre il Processo Marlane. L’area è sottoposta a sequestro per evitare ipotetiche manomissioni dei luoghi e la Pubblica Accusa è guidata dalle PM Linda Gambassi e Maria Camodeca, mentre il procuratore Bruno Giordano corre in ogni modo contro il tempo delle prescrizioni previste per i vari capi di accusa. Le imputazioni da provare per rendere giustizia a 108 operai deceduti e più di cento persone ad oggi malate sono abbastanza gravi: omicidio colposo plurimo aggravato da omissione di cautele sul lavoro; lesioni gravissime; disastro ambientale. Tredici gli imputati iniziali, ridotti a dodici dopo il decesso di uno degli accusati: Pietro Marzotto, ex presidente del gruppo “Eni- Marzotto”, l’ex amministratore delegato Silvano Storer, il manager Jean De Jaegher, l’ex sindaco di Valdagno e vicepresidente della Lanerossi, Lorenzo Basetti, l’ex sindaco di Praia a Mare e caporeparto alla Marlane ,Carlo Lomonaco, Vincenzo Benincasa, Giuseppe Ferrari, Lamberto Priori, Ernesto Antonio Favrin, Attilio Rausse. Le parti civili costituitesi tali al processo sono state le seguenti: Legambiente, WWF, comune di Tortora, CGIL, CISL, UIL, SLAI COBAS, SI COBAS, parenti e operai dell’azienda. Tra questi ultimi, diverse le figure che hanno ritirato la propria posizione di parte civile al processo. E se il primo grado di giudizio ha visto l'assoluzione di tutti gliimputati, si attende la sentenza del processo di appello per il prossimo 25 settembre. Nel frattempo si è aperto un nuovo filone giudiziario, denominato Marlane 2. staremo a vedere. (FONTE: Marlane: storia di una fabbrica avvelenata - https://suddistrutto.wordpress.com/2015/10/01/marlane-storia-di-una-fabbrica-avvelenata/)

Commenti

Post popolari in questo blog

Alfredo Le Pera, chi era costui? Alla scoperta dell'ultima opera letteraria del Prof. Tonino De Paoli

Considerazioni...

Chiarezza...