Presenze ad Aprigliano /1

'U monachiellu
Si racconta che moltissimi anni fa viveva un essere alquanto pestifero, simile ad un nano, che vestiva la tonaca dei monaci. Egli amava mettere le case sottosopra di coloro che non entravano nelle sue grazie o si adagiava sulla pancia di chi dormiva tranquillamente procurandogli fastidi fisici; impedendogli di respirare; sorrideva e parlava invece con chi gli era simpatico e amava. A questo punto ci viene un piccolo dubbio: erano di più gli antipatici o i simpatici?
L'idea fissa che il volgo ha per gli spiriti buoni o cattivi, erranti di notte, lo tormenta sempre, gli sconvolge la mente. I casi fortuiti gli fanno scorgere uno spirito in ogni angolo dell'abitazione e lo inducono a pensare che esso sia la cagione di ogni minimo rumore, di ogni scricchiolio dei mobili e di ogni tic tac verificatosi nella notte. Questi spiriti il popolino spesso osserva nelle case disabitate e nei boschi.
Vincenzo Dorsa gli attribuisce il nome di Monachiellu, perché alla fantasia popolare spesso presentasi nella figura di un fraticello, ora vestito di bianco con berretto rosso e tavolette leggere appese agli omeri, che agitandosi nel suo cammino producono rumore all'intorno, ovvero con abito rosso e berretto azzurro. Dicono che sia uno "spirito folletto", uno di quegli angeli ribelli meno cattivi, i quali rimasero sospesi nell'aria e scendono tra gli uomini come amici e per buon augurio. Se ne sente spesso la voce che predice il bene e il male, non solo nel sonno, per cui il Folletto è confuso con l'Incubo, ma anche nella veglia. Si dice che si diverta a gettare pietruzze contro la casa, a disordinarvi le piccole masserizie, a involare gli arnesi di bottega e riporli in altro luogo.
Chi riesce a catturare lo "spirito folletto", diventa ricco. Il momento opportuno per farlo è quando si è in dormiveglia e il Monachiellu ti salta sul petto. Egli diventa sempre più pesante; è necessario catturarlo presto prima che faccia mancare il fiato.
Secondo alcune versioni bisogna incappucciarlo con un vecchio cappello e sistemarlo sotto una “quarara” di rame. A quel punto gli si può chiedere quel che si vuole.

(Contributo a cura di Atamante pubblicato su www.apriglianoweb.it - sezione Presenze calabresi nel maggio 2010)

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